IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso iscritto al R.G.
2036/2007,  proposto  dal signor Vonan Nobout Julien, rappresentato e
difeso  dagli  avv.  Renato Cogliati e Angela Rossi, ed elettivamente
domiciliato presso lo studio di quest'ultima in Milano, via Leopardi,
5;
   Contro  il  Comune  di  Calolziocorte,  in persona del sindaco pro
tempore;  per  l'annullamento dell'ordinanza emessa in data 14 giugno
2007  (n.  9472/VIII.7 Prot./SA-erg; n. 4107 Reg. Ord.) dal Comune di
Calolziocorte, notificata in data 15 giugno 2007, con cui il medesimo
disponeva  la  chiusura dell'esercizio di Centro di telefonia in sede
fissa,  denominato «FATCOMI», sito in via Locatelli 1/A e gestito dal
signor Vonan Nohout Julien;
   Visto il ricorso con i relativi allegati;
   Viste le memorie prodotte dal ricorrente;
   Vista  la  manda  di sospensione dell'esecuzione del provvedimento
impugnato;
   Vista  l'ordinanza cautelare di accoglimento a temine, relativa al
ricorso in epigrafe, deliberata dalla Sezione alla medesima Camera di
consiglio    in    riferimento    alla    presente    questione    di
costituzionalita';
   Visto l'articolo 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
   Visti gli atti tutti della causa;
   Udito  alla Camera di consiglio del 9 ottobre 2007 (relatore dott.
Paolo Passoni), il procuratore del ricorrente;
                              F a t t o
   Il ricorrente titolare di phone center preesistente all'entrata in
vigore  della legge della regione Lombardia 3 marzo 2006 n. 6, con la
quale  sono  state  emanate  apposite  norme «per l'insediamento e la
gestione di centri di telefonia in sede fissa».
   Con  l'ordinanza  impugnata,  il  comune  di  di  Calolziocorte ha
disposto  la  chiusura  dell'attivita'  di  phone  center gestita dal
ricorrente,   per   mancata  conformazione  ai  nuovi  requisiti  (in
prevalenza  igienico-sanitari  e  di  sicurezza  dei locali) disposti
dalla   predetta   legge   regionale;   quanto  sopra,  in  vincolata
applicazione  di  quest'ultima,  la quale  -  nel  disporre  per  gli
esercizi preesistenti un termine di adeguamento annuale - ha altresi'
previsto,  nei  casi  di  infruttuosa  scadenza  di  tale termine, la
cessazione  definitiva dell'attivita' senza possibilita' di proroghe,
come  da  combinato  disposto  dell'art. 9, primo comma, lettera c) e
secondo comma, con l'art.12.
   In particolare, fra le piu' significative e restrittive novita' in
tema di requisiti igienico-sanitari e di sicurezza dei locali, che il
collegio  ritiene  sospette sul piano costituzionale, si segnalano le
seguenti  testuali  prescrizioni  dell'articolo  8,  primo  comma: un
servizio  igienico  in  uso esclusivo del personale dipendente (lett.
e);  un  servizio  igienico  riservato al pubblico, anche prossimo al
locale  nel  caso di esercizi gia' attivi all'entrata in vigore della
presente  legge,  ma ad uso dello stesso per il locale con superficie
fino  a 60 metri quadrati (. . .); un ulteriore servizio igienico per
il  locale  di  dimensioni  superiori  (lett.  f);  spazio  di attesa
all'interno  del  locale  di  almeno  9  metri  quadrati,  fino  a  4
postazioni  telefoniche,  provvisto  di  idonei sedili posizionati in
modo da non ostruire le vie di esodo; la sala di attesa dovra' essere
aumentata  di  2 metri quadrati ogni postazione aggiuntiva (lett. h);
ogni  postazione deve avere una superficie minima di 1 metro quadrato
ed essere dislocata in modo da garantire un percorso di esodo, libero
da  qualsiasi  ingombro  ed  avere una larghezza minima di 1,20 metri
(lett. i).
   Alla  camera di consiglio del 9 ottobre 2007 la Sezione ha accolto
-  a  termine,  sino  alla pronuncia della Corte costituzionale sulla
questione oggetto della presente ordinanza - l'istanza incidentale di
sospensiva,  ritenendo  non  manifestamente  infondata (nei sensi che
verranno  specificati  con  la  presente  ordinanza)  la questione di
costituzionalita'  prospettata  dal  ricorrente,  nei confronti della
citata legge regionale n. 6/2006.
                            D i r i t t o
   Oggetto  della presente questione di costituzionalita' sono alcune
disposizioni  della  legge  della  Regione  Lombardia  n. 6/06  (gia'
indicate  in  narrativa) che ha regolato l'insediamento e la gestione
di  centri  di  telefonia in sede fissa, con disposizioni applicabili
anche   agli   esercizi   (come  nel  caso  dell'odierno  ricorrente)
preesistenti  all'entrata  in  vigore  della  legge  stessa. Le norme
sospettate  di  incostituzionalita',  che  assumono  rilevanza  nelle
vertenze in esame, riguardano:
     l'articolo  1,  nella parte in cui riporta la materia oggetto di
trattazione alla legislazione residuale regionale sul commercio;
     l'articolo   4,   che  introduce  un  sistema  generalizzato  di
autorizzazione civica per l'esercizio dell'attivita';
     l'articolo 8, nella parte (comma 1, lettere e, f, h, i,
e  comma 2) in cui introduce - con immediata modifica dei regolamenti
vigenti  -  i  nuovi  requisiti  igienico-sanitari e di sicurezza dei
locali,  in connessione agli artt. 9, primo comma, lett. c) e secondo
comma,  nonche' 12, disposizioni queste ultime che regolano il regime
transitorio  per i vecchi esercizi; cio' in quanto l'ordinanza civica
impugnata   ha   disposto   «con   effetto   immediato»  la  chiusura
dell'esercizio  di phone center per mancato tempestivo adeguamento ai
nuovi requisiti di cui sopra; la difformita' rispetto a questi ultimi
e'  poi  a  sua  volta  di  impedimento  al  rilascio della specifica
autorizzazione  richiesta dall'art. 3 gia' citato, giusta il disposto
dell'art.  4,  terzo  comma,  lett.  c), con riguardo al rilascio del
certificato igienico sanitario di cui al successivo art. 8.
   Le   norme   costituzionali  di  cui  si  sospetta  la  violazione
riguardano  l'articolo  117, in relazione ai vincoli dell'ordinamento
comunitario  ed  al  sistema  di riparto delle competenze legislative
Stato-Regione;  gli  artt.  3  e  41 in relazione, in particolare, ai
rilevanti   ostacoli  che  le  restrittive  prescrizioni  in  materia
igienico-sanitaria   - introdotte   dalla   legge  regionale  di  cui
trattasi,  da  applicare  anche  retroattivamente  alle  preesistenti
gestioni  di  phone  center, determinano sulla liberta' di iniziativa
economica   dei   gestori;   nonche'   l'art.   15   sulla   liberta'
comunicazione.
   Dalle  esposte  premesse  emerge, sotto il profilo della rilevanza
della  questione di costituzionalita', un contesto legislativo che ha
direttamente   determinato   in  modo  cogente  il  contenuto  lesivo
dell'atto  impugnato,  senza  lasciare o consentire alcuna mediazione
discrezionale  in  capo  alla  intimata  autorita' amministrativa; la
quale,  come peraltro ribadito nella circolare di chiarimenti emanata
dalla  regione  Lombardia  (prot.  Hl.2006.0027733 del 5 giugno 2006,
punto 8), ha dovuto emettere il provvedimento (in tutto vincolato nel
contenuto)  di  cessazione immediata dell'attivita' alla scadenza del
perentorio  termine  annuale  fissato,  senza  possibilita' di alcuna
proroga  ai  sensi  del  gia'  citato art. 9, secondo comma,, che non
annovera  tra le ipotesi di proroga quelle della lettera c) del primo
comma.
   Sul  piano,  ancora,  della  rilevanza, va detto nuovamente che in
relazione  alla  valutazione  di  non  manifesta  infondatezza  della
questione  di  costituzionalita'  delle  indicate  disposizioni della
predetta   legge  regionale,  la  Sezione  ha  adottato  un'ordinanza
cautelare    di   sospensione   del   provvedimento   di   cessazione
dell'attivita'  di phone center, con efficacia limitata al periodo di
tempo  necessario  a  che  la  Corte costituzionale si pronunci sulla
questione stessa.
   Chiarita  la  rilevanza  della  questione,  il Collegio intende in
primis evidenziare a carico della l.r. n. 6/06 - quanto all'ulteriore
profilo  della  non  manifesta  infondatezza - la sospetta violazione
dell'art.   117   commi   primo,   secondo,   terzo  e  quarto  della
Costituzione.
   L'articolo  1  della  legge  riconduce la deliberata normativa nel
quadro  delle  competenze  della  regione  e dei comuni in materia di
commercio»,  tuttavia  il riferimento a siffatta materia (che rientra
nella  legislazione  residuale  regionale  ex art. 117, quarto comma,
Cost.)  sembra  al Collegio del tutto estranea all'ambito applicativo
della  legge  stessa,  che  ai  sensi  dell'articolo  2, comma primo,
consiste  nell'attivita'  di  cessione  al  pubblico  di  servizi  di
telefonia  in  sede  fissa  in  locali  aperti al pubblico secondo le
ulteriori specificazioni illustrate nei successivi commi.
   Invero,   tale  attivita'  non  rientra  nella  vendita  di  merci
all'ingrosso  o  al dettaglio secondo quanto previsto dall'art. 4 del
Decreto  legislativo 31 marzo 1998, n. 114 («Riforma della disciplina
relativa  al  settore del commercio (. . .)», ne' rientra nei settori
del  commercio definiti dall'art. 39 del decreto legislativo 31 marzo
1998, n. 112.
   Va  detto  piuttosto  che una delle novita' della legge e' proprio
quella  di impedire che all'interno delle strutture di «phone center»
possano  affiancarsi  -  come  in  passato - attivita' commerciali di
supporto, secondo un principio di esclusivita' non condiviso invece -
almeno  dalla legislazione statale - nella situazione inversa, in cui
la  cessione dei servizi telefonici e telematici puo' ben avvenire in
modo  complementare rispetto ad altre attivita' principali (cfr. art.
7  del  d.l.  27  luglio  2005,  n. 144,  convertito  in  legge,  con
modificazioni,  dall'art.  1  della legge 31 luglio 2005, n. 155, che
nel   quadro   di   una   disposta   «integrazione  della  disciplina
amministrativa  degli  esercizi  pubblici  di telefonia ed internet»,
prevede  la  licenza  del  questore  per  chiunque  intende aprire un
pubblico  esercizio  o  un  circolo  privato di qualsiasi specie, nel
quale  sono posti a disposizione del pubblico, dei clienti o dei soci
apparecchi   terminali   utilizzabili   per  le  comunicazioni  anche
telematiche».
   Le  uniche  attivita' commerciali consentite all'interno dei phone
center  dalla  legge  regionale  6/06,  che  riguardano la vendita di
schede  telefoniche  e  l'installazione di distributori automatici di
bevande  ed  alimenti  (cfr. art. 2 comma secondo, lettera b) e comma
3),  non  sono oggetto della specifica autorizzazione richiesta dalla
legge,  e  rivestono  carattere apertamente occasionale o eventuale e
quindi del tutto marginale.
   L'attivita'  terziaria  in esame sembra, invece, piu' propriamente
riportabile  alla  materia dell'ordinamento delle comunicazioni (art.
117,  terzo  comma Cost. con legislazione concorrente Stato-Regione),
ascrivendosi   piu specificamente   al   «servizio  di  comunicazione
elettronica»,  categoria  introdotta  dall'art.  2,  par. 1, lett. c)
della  dir.  7 marzo 2002 n. 2002/21/CE, con conseguente applicazione
della  disciplina  di  derivazione  comunitaria (comprensiva altresi'
delle    direttive    2202/19   CE,   2002/20/CE   e   2002/22   CE),
complessivamente  recepita  con  il  cd.  codice  delle comunicazioni
elettroniche di cui al decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259. Di
particolare  pertinenza  ai  casi  di  specie  appaiono  del resto le
definizioni  mirate a delimitare il campo di applicazione del decreto
medesimo  ai  sensi  dell'articolo 1, comma 1, con peculiare riguardo
alla   lettera   bb)   («rete   telefonica   pubblica:  una  rete  di
comunicazione  elettronica  utilizzata per fornire servizi telefonici
accessibili  al  pubblico») ed alla lettera oo) («telefono pubblico a
pagamento:  qualsiasi apparecchio telefonico accessibile al pubblico,
utilizzabile  con  mezzi  di pagamento che possono includere monete o
carte di credito o di addebito o schede prepagate, comprese le schede
con codice di accesso»).
   La rilevata derivazione europea di tale normativa comporta poi che
la  materia  ivi  trattata (ordinamento delle comunicazioni) vincola,
anche  con riguardo al rispetto del principio di proporzionalita', la
Regione,  non  solo  ai  sensi dell'articolo 117, terzo comma entro i
limiti  della legislazione statale di principio, ma piu' in radice ai
sensi  dell'articolo  117,  primo comma, secondo cui ogni legge della
Repubblica  deve  conformarsi  ai  «vincoli  derivanti dagli obblighi
comunitari».  In via strettamente consequenziale, il rispetto di tali
disposizioni  finisce  poi  per  impingere  su profili trasversali di
legislazione  esclusiva  statale ex art. 117, secondo comma Cost, con
specifico  riguardo  alla  tutela della concorrenza (lett. e) nonche'
alla  determinazione  (e  salvaguardia)  dei livelli essenziali delle
prestazioni  concernenti i diritti civili e sociali che devono essere
garantiti  su  tutto  il  territorio  nazionale  (lett.  m), anche in
conformita' all'interesse generale che connota tali servizi, ai sensi
dell'art. 3 del citato decreto n. 259/2003.
   In  proposito, va altresi' evidenziato il disposto del primo comma
dell'art. 3, il quale garantisce i («diritti inderogabili di liberta'
delle  persone  nell'uso  dei  mezzi di comunicazione elettronica con
espresso  richiamo a quel regime di (libera) concorrenza che rinforza
il   legame   dell'attivita'  in  questione  alla  «materia-funzione»
devoluta alla legislazione esclusiva statale.
   Inoltre  i  principi  di  derivazione comunitaria e costituzionale
risultano  espressamente  ribaditi  dall'art.  4 del medesimo decreto
legislativo,  il quale prevede al primo comma che la disciplina delle
reti   e   dei   servizi   e'   volta   a   salvaguardare  i  diritti
costituzionalmente  garantiti di «liberta' di comunicazione», nonche'
di  «liberta'  di  iniziativa  economica e suo esercizio in regime di
concorrenza, garantendo un accesso al mercato delle reti e servizi di
comunicazione    elettronica   secondo   criteri   di   obiettivita',
trasparenza, non discriminazione e proporzionalita» (sul punto, Corte
costituzionale n. 236/2005).
   Il  terzo  comma  dello stesso art. 4 dispone, tra l'altro, che la
suddetta  disciplina  e' volta anche a «promuovere la semplificazione
dei  procedimenti  amministrativi  e  la  partecipazione  ad essi dei
soggetti  interessati, attraverso l'adozione di procedure tempestive,
non  discriminatorie  e  trasparenti  nei confronti delle imprese che
forniscono    reti   e   servizi   di   comunicazione   elettronica».
Puntualizzato quanto sopra, va poi affermato che la norma regionale -
nella   sua   unilaterale   iniziativa  di  regolazione  del  settore
(erroneamente  riportato  al  commercio).  ha  introdotto  un  regime
autorizzativo  ulteriore e duplicativo, rispetto al sistema delineato
in   sede  comunitaria  come  recepito  con  il  decreto  legislativo
n. 259/2003.
   Ed  invero,  tornando  al comma 2 dell'articolo 3 di tale decreto,
ivi  si  prevede che «la fornitura di reti e servizi di comunicazione
elettronica,  che  e'  di  preminente interesse generale, libera e ad
esse si applicano disposizioni del Codice», fatte salve al successivo
comma  «le limitazioni  derivanti  da  esigenze  della difesa e della
sicurezza dello Stato, della protezione civile, della salute pubblica
e  della  tutela  dell'ambiente e della riservatezza e protezione dei
dati  personali,  poste  da  specifiche  disposizioni  di  legge o da
disposizioni regolamentari di attuazione» (testuali concetti sono poi
ribaditi  nell'articolo  25,  primo  comma  dello  stesso decreto). A
fronte   della  conclamata  liberta'  di  fornitura  dei  servizi  di
comunicazioni  elettronica  (ivi compresi - come sopra visto - quelli
connessi  all'esercizio  di  un phone center), il decreto legislativo
n. 259/2003  prevede  poi  che  l'espletamento  di tali servizi venga
subordinato  ad  una  (sola)  «autorizzazione generale» in rigoroso e
vincolato  recepimento  della  normativa europea. In particolare tale
autorizzazione  viene  definita dall'art. 1, comma 1, lettera g) come
«il regime giuridico che disciplina la fornitura di reti o di servizi
di comunicazione elettronica...» e consegue alla presentazione di una
dichiarazione  dell'interessato  (a  seguito della quale e' possibile
iniziare   l'attivita)  contenente  l'intenzione  di  procedere  alla
fornitura  (art.  25, comma 3); il potere del Ministero competente di
vietare  il  prosieguo dell'attivita' medesima puo' essere esercitato
«entro  e non oltre» sessanta giorni secondo il modulo procedimentale
della   dichiarazione   di   inizio   attivita'  ex  art.  19,  legge
n. 241/1990,  espressamente richiamato dalla norma in esame (art. 25,
comma  4,  cfr. anche delibera n. 467/00/CONS con cui l'Autorita' per
le  Garanzie  nelle comunicazioni ha disciplinato il rilascio di tali
autorizzazioni generali, per uniformare il contenuto).
   Pur  a  fronte di tali vincolanti previsioni - che la legislazione
regiona  non  e'  legittimata ad alterare, ai sensi dei primi 3 commi
dell'art.  117  Cost.  -  la  legge  lombarda  ora in esame ha invece
introdotto un ulteriore titolo abilitativo, disponendo in particolare
all'art.  3,  comma 1 che «l'esercizio della attivita' di cessione al
pubblico  del  servizio  di  telefonia  in sede fissa e' assoggettato
all'autorizzazione  di  cui all'articolo 4», al cui rilascio provvede
il   comune   competente  per  territorio.  Trattasi  dunque  di  una
previsione  che  sembra  al  Collegio  comunque alterare il regime di
sostanziale  liberta'  di  fornitura dei servizi de quibus cosi' come
delineato  in  via  primaria  dall'ordinamento comunitario, ed in via
attuativa   dalla  norma  statale  di  recepimento,  con  conseguenti
aggravamenti  procedimentali,  pur  vietati dai citati articoli 3 e 4
del  decreto  n. 259/2003.  Quanto sopra viene peraltro a determinare
una  sospetta  lesione  dei  principi  di  libera  concorrenza  e  di
salvaguardia  dei  livelli  essenziali  di  prestazioni  di interesse
generale   connesse   ai  diritti  inderogabili  dell'individuo,  ivi
compresa  la  liberta' di comunicazione garantita dall'art. 15 Cost.,
proprio  ai  sensi delle citate definizioni legislativo ex art. 3 del
decreto legislativo n. 259/2003 (sul cui ruolo di garanzia rispetto a
tali  principi  si  e'  espressa  la Corte con la segnalata pronuncia
n. 336/2005).
   Inoltre,   anche  nel  caso  in  cui  la  funzione  autorizzatoria
introdotta  dall'art.  4  della  legge  regionale  n. 6/2006  dovesse
intendersi   riferita  (solo)  agli  interessi  pubblici  strumentali
all'attivita'  di  comunicazione elettronica (nel quadro delle citate
«limitazioni» a tale attivita', previste e consentite dagli artt. 3 e
25  del  decreto  legislativo  n. 259/2003), resta il fatto che anche
siffatte  limitazioni  sembrano  afferire  a materie comunque (tutte)
estranee  a quella potesta' legislativa residuale ex art. 117, quarto
comma  Cost.  che  la regione Lombardia ha invece inteso nella specie
esercitare.
   Basti pensare:
     alle esigenze della difesa e della sicurezza dello Stato ed alla
tutela dell'ambiente   (legislazione   esclusiva   statale  ai  sensi
dell'art. 117, secondo comma, lettera d)
     alle   esigenze  di  protezione  civile  e  di  salute  pubblica
(legislazione concorrente ex art. 117, terzo comma).
   Va  poi  precisato  che  anche  le limitazioni di tipo edilizio od
urbanistico   (peraltro   non  espressamente  comprese  nella  citata
elencazione  di  cui  agli  artt.  3  e  25  del  decreto legislativo
n. 259/2003)  sono subordinate alla concorrenza legislativa di poteri
Stato-Regioni  sotto  la  voce del «governo del territorio», ai sensi
del citato terzo comma dell'art. 117 Cost.
   Inoltre,  le problematiche connesse alla riservatezza e protezione
dei  dati  personali (queste ultime invece espressamente previste fra
le  limitazioni  di cui sopra) sono state gia' considerate e regolate
dal  legislatore  statale,  nel  quadro  delle  esigenze di sicurezza
pubblica  con  il  citato decreto-legge 27 luglio 2005 recante «nuove
disposizioni  antiterrorismo  per  gli  internet point» ed i pubblici
esercizi  che  mettano  a  disposizioni  del  pubblico postazioni per
comunicazioni telematiche convertito nella legge n. 155/2005.
   Sulla   illegittimita'   costituzionale   di  quelle  legislazioni
regionali   che   -   nella   presente  materia  delle  comunicazioni
elettroniche  -  aggiungono  fasi  autorizzatorie comunque denominate
rispetto  alle  procedure  abilitative  gia'  contemplate nel decreto
legislativo n. 259/2003, si richiama al riguardo la recente pronuncia
della  Consulta  n. 129/2006, che - seppure in relazione alla diversa
problematica  delle  installazioni  di torri e tralicci - ha comunque
censurato  l'art.  27,  comma  1,  lettera  e)  della  l.r. Lombardia
n. 12/2005,  per  aver  previsto  la necessita' di un titolo edilizio
ritenuto  ulteriore  e  superfluo  rispetto  alle procedure delineate
nell'articolo  87  del  decreto  legislativo;  cio'  in  quanto  - ha
osservato   testualmente  la  Corte  con  esternazioni  di  principio
applicabili  al  caso  di  specie  -  «la  tutela del territorio e la
programmazione  urbanistica sono salvaguardate dalle norme statali in
vigore  ed  affidate proprio agli enti locali competenti, i quali, al
pari  delle  Regioni  (sentenza n. 336 del 2005), non vengono percio'
spogliati  delle  loro attribuzioni in materia, ma sono semplicemente
tenuti  ad  esercitarle  all'interno dell'unico procedimento previsto
dalla  normativa  nazionale,  anziche'  porre  in  essere un distinto
procedimento»  con  conseguente  violazione  dei principi generali di
semplificazione  della legislazione statale in materia di governo del
territorio).
   La  violazione  dell'articolo  117  Cost. sembra peraltro assumere
connotati  sostanziali,  anche  al di la' dell'erronea qualificazione
formale  della  materia  trattata,  e  cio'  non solo in relazione ai
settori   occupati   dalla  legge  regionale  eppur  di  appartenenza
esclusiva  alla  legislazione statale (ove il contrasto «sostanziale»
con  il precetto costituziona1e si consuma in re ipsa con il semplice
intervento   legislativo   della   regione).  Anche  nel  caso  delle
fattispecie  concorrenti,  infatti,  la  normativa  in esame non pare
essersi   correttamente   inserita   nei  principi  generali  di  una
legislazione  statale  che - dopo aver garantito all'attivita' in se'
considerata  un trattamento semplificato, improntato alla liberta' di
comunicazione  voluta  anche  dall'unione  europea - si e' limitata a
prevedere  per  i  soli «internet point» disposizioni speciali per la
sicurezza  dello  Stato,  senza l'introduzione di altri regimi ad hoc
(igienico-sanitari   ed  urbanistici)  diversi  e  piu'  restrittivi,
rispetto a quelli gia' in vigore per gli altri esercizi connessi alle
attivita' terziarie. In relazione ai requisiti igienico-sanitari e di
sicurezza  dei  locali,  va  poi  rammentato  che  la legge regionale
dispone  contenuti  di  dettaglio  che integrano in modo automatico e
simultaneo  tutti i regolamenti di igiene delle autorita' sanitarie e
dei Comuni in territorio lombardo (art. 8, comma 2), e cio' senza che
la  legislazione statale di riferimento consenta, all'interno di tale
regolamentazione   locale,   l'inserimento   eteronomo  di  contenuti
dispositivi  e  di  dettaglio direttamente imposti da leggi regionali
(art. 344 TULS).
   Va  ancora  osservato  sul  punto  che  le  prescrizioni  previste
dall'ordinamento  statale,  si  limitano  a  stabilire una disciplina
generale  quanto  ai  requisiti di agibilita' dei locali destinati ad
attivita' economiche, la quale rimanda alle norme edilizie e igienico
sanitarie  contenute  in  prevalenza in fonti normative secondarie, e
non  contiene  comunque prescrizioni cosi' restrittive per gli indici
igienico-sanitari  regolati  specificamente  dalla legge regionale de
qua,  neanche  per  i  locali  ove  vi  e' maggiore concentrazione di
persone  per  un  tempo di permanenza maggiore (come teatri, cinema o
nei locali ove viene svolta attivita' di somministrazione di alimenti
e  bevande).  Donde  la  necessita'  che  la  competenza  legislativa
concorrente  delle Regioni venga esercitata nel rispetto dei principi
fondamentali  di  cui  all'art.  3  (con  particolare  riguardo  alla
rimozione  degli ostacoli di ordine economico e sociale limitativi di
fatto  della liberta' e l'uguaglianza dei cittadini) e 41 della Carta
fondamentale,  nonche'  di  quello, di derivazione comunitaria, della
proporzionalita'   (insito   nel  riferimento  ai  vincoli  derivanti
dall'ordinamento  europeo  contenuto  nell'art.  117,  primo  comma),
secondo  il  quale,  com'e'  noto,  una  misura  e'  conforme  a tale
principio  soltanto  allorche'  mezzo adoperato si rilevi non tanto e
non  solo  «idoneo»  a  consentire  il  raggiungimento dell'obiettivo
desiderato,  ma anche «necessario» nel senso dell'indisponibilita' di
altra  misura  egualmente  efficace,  e  tale  da  incidere  il  meno
negativamente  possibile  nella  sfera del destinatario, ossia da non
essere  «intollerabile».  In sostanza un giudizio di proporzionalita'
basato ex ante sulla valutazione comparativa tra mezzo e fine.
   Infine,  sempre  in  relazione ai requisiti igienico-sanitari e di
sicurezza  dei  locali  ex art. 8 della legge (con specifico riguardo
alle  voci  ivi rubricate alle lettere e, f h, i, meglio descritte in
narrativa),  il  Collegio  ritiene  che  la legge regionale n. 6/2006
presenti  profili  di non manifesta infondatezza anche nella parte in
cui   dispone   l'applicazione   retroattiva   delle  rigorose  nuove
disposizioni,  senza  delineare  la possibilita' di proroghe (pur non
automatiche,  ma  discrezionali  e  da  valutare  caso  per caso) per
consentire  agli  esercizi  preesistenti  di  continuare l'attivita',
nonostante la vana scadenza del termine annuale di adeguamento.
   Secondo consolidata giurisprudenza costituzionale (da ultimo Corte
cost. sent. n. l56/2007), la possibilita' del legislatore di incidere
con  norme  retroattive  su  situazioni sostanziali ormai radicate da
leggi   precedenti,   resta   subordinata   al   rigoroso  vaglio  di
razionalita'  del nuovo regolamento di interessi che modifica ex post
quello preesistente.
   Ritiene  il Collegio che nella specie non sussista (a parte quanto
gia'  evidenziato  sotto il profilo della proporzionalita) una sicura
rispondenza   dello   ius   superveniens  a  sufficienti  criteri  di
ragionevolezza,   in  relazione  alle  modalita'  con  cui  la  nuova
normativa  incide  sui  giustificati  affidamenti  dei  titolari  dei
preesistenti  esercizi di phone center, e cio' in sospetta violazione
dei principi di parita' di trattamento ex art. 3, Cost.
   La  prescrizione  infatti  di  un  cosi'  nuovo e piu' impegnativo
assetto   strutturale   e  funzionale  dei  locali  strumentali  allo
svolgimento  dell'attivita'  determina,  in  capo  a  coloro che gia'
gestivano  quest'ultima  in regime di regolarita' amministrativa, una
serie  di  obblighi conformativi razionalmente inesigibili durante il
(breve) periodo annuale concesso dalla legge, anche in considerazione
della  necessita'  di  procedere  a lavori strutturali ed edilizi dal
costo  elevato  e spesso non realizzabili per l'inidoneita' oggettiva
derivante  dall'area  disponibile  dei locali, e quindi anche laddove
l'esercente     l'attivita'    voglia    adeguarvisi.    La    stessa
rilocalizzazione  ipotizzata  dalla  norma - oltre a non esser subito
praticabile  in  assenza  della  formalizzazione  di  nuovi strumenti
urbanistici  chiamati  ad  individuare  le  relative aree (cfr. terzo
comma  art.  98-bis  della l.r.  12  del 2005, introdotto dall'art. 7
della  l.r.  6  del 2006) - non sembra certo rappresentare un rimedio
semplice  ed efficace rispetto all'abbandono - spesso obbligato - dei
locali  di  origine,  e  cio'  in considerazione delle difficolta' di
reperimento,  in  adiacenza  o  prossimita'  allo stesso edificio, di
nuovi   locali;  senza  considerare  la  perdita  di  avviamento  che
deriverebbe   dal  trasferimento  dell'attivita'  stessa,  una  volta
approvato  il  previsto  piano urbanistico. Quanto sopra, in aggiunta
(donde  un  autonomo profilo di non manifesta infondatezza valutabile
in  base  ai  canoni  del  comma  primo  dell'art.  3  Cost),  al non
indifferente   maggiore   onere  economico,  che  potrebbe  risultare
insostenibile  per  i  soggetti  privi  di  adeguati mezzi economici,
favorendo  l'abbandono  delle  relative  attivita';  tali dismissioni
determinerebbero   a  loro  volta  un  vantaggio  rispetto  ai  nuovi
operatori  aventi maggiori disponibilita' d'investimento che -potendo
organizzare   ex   ante  l'attivita'  secondo  le  regole  vigenti  -
verrebbero    a    trovarsi    in   una   situazione   concorrenziale
(ingiustamente)  privilegiata,  con  riverberi dannosi per gli utenti
privi  di  una piu' ampia scelta, e con forte rischio di tariffe meno
vantaggiose.  Le delineate - e non improbabili - conseguenze fattuali
delle  citate  disposizioni  finirebbero pertanto per incidere, oltre
che  sulla  rilevata disparita' di trattamento ex art. 3 Cost,, anche
sulla liberta' di iniziativa economica privata garantita dall'art. 41
Cost.,  con  riverberi  lesivi sotto altro profilo della tutela della
concorrenza  garantita dall'ordinamento europeo (cfr. sul punto anche
la  segnalazione  in  data  6 agosto 2007 formalizzata dall'Autorita'
Garante  della  concorrenza e del Mercato al Presidente della Regione
Lombardia  proprio  in  relazione  «...agli  effetti distorsivi della
concorrenza  che  derivano  dalle disposizioni... dettate dalla legge
Regione Lombardia 3 marzo 2006 n. 6»).
   Sulla base delle esposte considerazioni si ritiene rilevante e non
manifestamente infondata la presente questione costituzionalita', che
si  solleva  pertanto  ai sensi dell'articolo 23 della legge 11 marzo
1953, n. 87 in relazione agli artt. 1, 4, 8 (comma 1, lettere e, f h.
i, e comma 2), 9, (primo comma, lett. c e secondo comma), nonche' 12,
della  l.r.  3 marzo 2006, n. 6, in relazione aglil artt. 3, 15, 4l e
117 della Costituzione.